Kumbh Mela 2013

kumbh mela

“Mi parevano essere una sorta di garanzia che l’India non potesse mai diventare un paese come tutti gli altri, perché fino a che ci sarà una società che rispetta i santi mendicanti, che si inchina ai loro piedi per caricarsi di energia e che dà loro da mangiare, quella società non potrà mai diventare sino in fondo materialista. È una forma di vaccino.”  (Tiziano Terzani, La fine e’ il mio inizio)

Non era tra i miei progetti di viaggio, e non sarei mai andato in India come hanno fatto molti occidentali solo per assistere a questo straordinario evento. Ma evidentemente il mio karma aveva bisogno di essere purificato e trovandomi in India in quel periodo mi e’ sembrato quasi un dovere andare ad Allahabad e partecipare al mitico ( e in questo caso non e’ un’esagerazione ) Kumbh Mela. Non mi dilungherò in lunghe spiegazioni sulla storia di questo eccezionale pellegrinaggio: e’ semplicemente il più importante, il più affollato e il più folle raduno religioso non solo dell’India ma di tutto il mondo. Nessuno conoscerà mai la cifra esatta dei partecipanti, ma nell’arco del mese propizio per i bagni rituali ( mese lunare ) affluiscono ad Allahabad, la città di Dio, decine di milioni di persone, cinquanta, ottanta, forse cento. Ma non sono solo le folle oceaniche a rendere questo evento così straordinario: al Kumbh Mela si possono vedere e conoscere quegli uomini eccezionali che sono forse la caratteristica principale che rende l’India un paese così unico e diverso dagli altri. Questi sadhu non sono quei mezzi mendicanti che si incontrano spesso a Varanasi o in altre citta’ sante indiane, che si fanno pagare per una benedizione o per una fotografia. Questi sono i veri eredi degli antichi rishi, hanno davvero rinunciato a tutto e vivono una vita ascetica di meditazione e di rinuncia. Vengono da varie parti del paese ma la maggioranza vive nella regione himalayana, da sempre luogo ideale per sadhu ed eremiti. Tra questi ci sono i famosi naga baba, “l’esercito” dei baba, che non indossano vestiti, hanno il corpo cosparso di cenere e sono piuttosto difficili da incontrare fuori da questi eventi. Sono anche noti per avere un pessimo carattere: questa cosa l’ho verificata di persona quando ho visto un baba che ha quasi aggredito con un attizzatoio una grassona americana che si ostinava a fare foto anche dopo che il tipo le aveva detto di non farle. Inoltre ci sono gli standing baba ( quelli che passano tutta la vita stando in piedi ), quelli che tengono un braccio sempre alzato, quelli che vestono pelli di animali, quelli completamente avvolti da rudraksa ( rosari ) e quelli che si arrotolano l’uccello nel tridente e ci fanno salire tizi di 100 chili ( ce n’era anche uno che se lo legava a una corda e trainava un’auto, ma non l’ho visto ). Non tutti sono ovviamente dei sant’uomini indifferenti al denaro, uno di questi “arrotolatori” aveva l’iphone e distribuiva biglietti da visita con scritto: “professione: naga baba”. Altri avevano la ciotola delle offerte piena di banconote da 500 rupie. Difficile comunque giudicare questi sadhu, seguono una via incomprensibile all’uomo normale. Quasi tutti fumano moltissimo, charas e erba, che in genere vengono offerti dai pellegrini, anche persone rispettabilissime, appartenenti alla casta dei bramini.

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Ma al di la’ del credo religioso non si puo’ non essere affascinati da questi mistici indiani, che non posseggono nulla ma sembrano davvero vivere in un’altra dimensione, completamente indifferenti alle miserie della vita dell’uomo comune. “Vinci pure mille volte mille uomini in battaglia: solo chi vince se stesso è il guerriero più grande.”: questi sadhu sono sicuramente la dimostrazione vivente che la vera battaglia da combattere e da vincere nella vita e’ quella contro il proprio ego.

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Tra i partecipanti al Mela i baba sono senza dubbio i più pittoreschi e i più amati dagli occidentali ( non puoi dire di essere stato al Kumbh Mela se non hai una bella foto di un naga baba ) ma ci sono anche molti famosi capi spirituali che hanno milioni di seguaci e sono veneratissimi dai pellegrini. Praticamente ogni setta dell’induismo e non solo ha un suo ashram e quelli appartenenti agli Swami più noti sono delle enormi tendopoli dove si offre alloggio, il prasad ( cibo offerto alla divinità ) a migliaia di persone e dove durante il festival ci sono vari programmi, conferenze, danze e ovviamente gli affollatissimi incontri con questi capi spirituali, che vengono realmente trattati come delle incarnazioni divine. Onestamente su questi Swami famosi ho qualche dubbio, molti secondo me sono molto simili ai nostri vescovi o cardinali, possono essere anche dei grandi personaggi con un enorme carisma ma il Santo per me è un’altra cosa, ed è molto più probabile che lo si trovi tra i naga baba. Ovviamente non intendo generalizzare, ma dove ci sono grandi organizzazioni religiose ( e di conseguenza grandi giri di denaro ) la spiritualità perde la sua essenza e diventa in qualche modo qualcosa di commerciale e spesso anche un modo per controllare le persone più semplici.

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Se per la maggior parte dei pellegrini indiani la permanenza al Kumbh Mela comporta una spesa irrisoria, non e’ così per quanto riguarda gli stranieri, che in genere sono costretti a pagare fino a cinquanta euro al giorno per una semplice branda nella tendopoli. Ovviamente io non avevo nessuna intenzione di spendere quei soldi e ho cercato una via alternativa. Avevo una tenda, quindi il problema era solo quello di trovare qualcuno che mi lasciasse campeggiare nel suo ashram. A pochi giorni dalla partenza quasi per caso scopro su internet che c’e’ un camping libero aperto a tutti, il Rainbow camp, gestito da degli hippie ai quali l’organizzazione ha concesso uno spazio solo per viaggiatori occidentali. E’ proprio il posto che cercavo, anche se poi si rivelerà piuttosto lontano dal centro del Mela e dal Sangam. Alla fine in 3 giorni di permanenza non spenderò quasi nulla, visto che oltre alla sistemazione gratuita sono quasi sempre andato a mangiare negli ashram ( ottimo il prasad degli Hare Krishna ).

Un’altra cosa che volevo evitare era la folla e i turisti organizzati del giorno più propizio, il 10 di febbraio. Secondo me era molto più interessante godersi l’evento quando c’era una folla accettabile e pochi stranieri, e comunque nei miei giorni di permanenza avevo incluso uno dei giorni propizi per fare il bagno al Sangam, l’Ekadashi Snana.
Malgrado fossi completamente disorganizzato con solo poche vaghe informazioni tutte da verificare tutto alla fine e’ filato liscio senza intoppi: evidentemente era scritto nel mio destino che dopo tanti pellegrinaggi nei luoghi più sacri dell’India, dalle sorgenti del Gange a Tirumala, avrei partecipato a quello più importante e che avrei fatto il bagno alla sacra confluenza. In realtà contrariamente a quanto si potrebbe immaginare l’evento è organizzato molto bene, tutta l’area del Mela è pulitissima per gli standard indiani, ci sono militari e poliziotti ad ogni incrocio pronti a dare indicazioni ( è abbastanza facile perdersi ), acqua e bagni in ogni ashram e perfino la zona dei baba è ordinatissima.

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L’arrivo e’ stato molto soft e anche piuttosto divertente. Il grosso dei pellegrini doveva ancora arrivare ( il “vero” Kumbh Mela si può dire si svolga tra le due settimane a cavallo della luna nuova, quest’anno tra il 5 e il 15 di febbraio ) e l’autobus da Varanasi era semivuoto. C’erano due donne occidentali, che una volta arrivato al Mela ( a proposito, veramente da pelle d’oca il panorama all’arrivo dal ponte sul Gange ) scopro essere due simpatiche italiane, che per un’incredibile coincidenza erano anche loro dirette al Rainbow camp. Una delle due era stata nello stesso camping anche al Mela di 12 anni fa. Subito ci imbattiamo nella solita inaffidabilità indiana: nessuno sa di preciso dov’e’ il camping e l’unico che sembra sapere qualcosa dice che si trova ad oltre 10 chilometri. Prendiamo un riscio’ che parte deciso ma poi arranca nel fango, spesso dobbiamo scendere ad aiutarlo, e ad un centinaio di metri dal campo crolla e si rifiuta di proseguire. Il campo è davvero lontano dal Sangam e dalla zona dei baba, non saranno 10 chilometri ma almeno 6 o 7. Il posto però è molto bello e singolare, sembra un accampamento nel deserto, e c’è comunque il minimo per la sopravvivenza, l’acqua, dei bagni, la legna per il fuoco e qualche chai shop a pochi minuti di cammino. C’è poca gente, una ventina di ragazzi con dreadlocks, piercing e maglietta beerlao d’ordinanza, più quattro o cinque tizi un po’ più attempati. La sera si suonano la chitarra e i bonghi attorno al fuoco ( da Bowie ai Green Day, passando per l’immancabile Bob Marley ), mentre al mattino qualcuno medita o fa Hatha Yoga.

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In quei giorni, camminando per ore tra la folla di pellegrini e sadhu, mi sono chiesto spesso cosa mi avesse veramente spinto a partecipare a questo incredibile evento. La risposta è arrivata quando ho fatto il bagno al Sangam, insieme a migliaia di persone di ogni casta ed estrazione sociale: ho avuto la netta sensazione di un ciclo che si chiudeva, e che una nuova fase della mia vita stava per iniziare.
L’ultima sera abbiamo partecipato all’affascinante cerimonia di iniziazione dei naga baba, che è una specie di funerale, visto che questi sadhu da quel momento muoiono come persone normali e iniziano la loro vita di monaci mendicanti. Gli sguardi di questi sadhu sono profondi e fissi verso qualcosa che nessun’altro può vedere: è follia oppure hanno capito realmente il vero senso della vita?

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