Trekking a Kalaw, meglio soli che male accompagnati…

( Myanmar )

Kalaw e’ una ridente e tranquilla cittadina montana adagiata tra le verdi colline dello stato Shan, che in questi ultimi anni e’ diventata popolarissima, e di conseguenza relativamente turistica, perche’ e’ il punto di partenza del trekking piu’ famoso del Myanmar, tre giorni di cammino verso il Lago Inle. Non c’e’ agenzia turistica che non lo proponga come una delle cose imperdibili del Paese.

Anche qui, come nelle zone settentrionali del Laos e della Thailandia, fare trekking organizzato o in qualche modo guidato significa soprattutto camminare tra villaggi “tradizionali” in cerca di qualcosa di illusorio che proprio grazie al turismo non esiste piu’, se non nelle ingenue menti dei turisti che pensano di venire in questi Paesi a vedere dei selvaggi che indossano abiti colorati, accendono il fuoco con i bastoncini e sono realmente stupiti nel vedere l’evoluto “uomo bianco”. Posso solo immaginare quanto siano “incontaminati” questi villaggi tra Kalaw e Nyaung Shwe dove vedono passare centinaia di turisti alla settimana. Quando sono arrivato alla guesthouse ( che non e’ nemmeno una delle piu’ frequentate ) c’era una stanza intera piena di zaini e valigie, probabilmente un centinaio, pronti per essere spediti verso il lago Inle.

Apro una piccola parentesi per descrivere questa guesthouse, il Golden Lily, perche’ e’ uno degli hotel piu’ strani dove sono stato in Birmania. E’ gestita da una bizzarra famiglia di indiani sikh, tutti si comportano in modo piuttosto strano e secondo me almeno due sono completamente fuori di testa. E’ l’unico posto del Myanmar dove non solo non vogliono controllare tutti i dati del passaporto e del visto, ma non vogliono nemmeno sapere chi sei, a quanto pare non gli interessa. Questo e’ piuttosto strano perche’ in teoria tutti gli hotel in questo paese devono fornire all’immigrazione i dati dei loro ospiti. Forse in questa guesthouse stanno facendo una specie di guerra personale al regime, chissa’. Il posto comunque e’ carino, con un’enorme terrazza dove si puo’ bere o mangiare o solo socializzare o guardare l’alba ed e’ dal mio punto di vista la guesthouse piu’ economica del Sud-Est Asiatico, le stanze con bagno in comune costano 3 dollari con colazione compresa!!

In realta’ non volevo fermarmi a Kalaw. Solo quando a Nyaung Shwe mi hanno chiesto ben 12000 kyats per andare a Bagan con uno sgangherato e scomodissimo minibus “turistico” ho deciso di cambiare i miei piani e dividere il viaggio verso la famosa citta’ delle pagode in due o tre parti. Non tanto per risparmiare ma per evitare di continuare a foraggiare questi ladroni che gestiscono i trasporti pubblici in Birmania, che non esitano a farti pagare il doppio o il triplo dei locali solo perche’ sei straniero. La prima tappa comunque e’ stata abbastanza divertente, inizialmente in un primo pick up pieno di pomodori e quindi in un secondo sul tetto, che spesso offre i posti piu’ comodi. Certo le strade sono polverosissime ( mai visto un paese cosi’ polveroso in vita mia ) e piene di buche, e spesso gli autisti si mettono a fare garetta e allora cominci a pensare che un incidente qui non e’ un’eventualita’ poi cosi’ rara…

In ogni caso arrivo in citta’ molto sporco ma meno stanco del previsto, mi concedo 4 bei chapati con dal nel ristorante indiano sulla main road e quindi dopo un paio d’ore di relax decido di andare all’esplorazione del villaggio e dei dintorni. Alla reception della Gh mi studio la mappa e decido di andare a dare un’occhiata alla zona opposta a quella dove vanno i turisti. Per chi ha esperienza di montagna non e’ cosi’ difficile riuscire ad organizzare un’escursione dal nulla, anche in zone sconosciute, soprattutto quando si tratta di ambiente collinare come l’area attorno a Kalaw, dove puoi facilmente salire ad un passo o su di una cima e “tracciare” mentalmente un itinerario. In un paio d’ore di cammino riesco infatti ad individuare almeno un paio di percorsi fattibili e diverse cime e cimotti da salire. In particolare una montagna rocciosa con delle pagode sulla sommità mi sembra interessante e decido di iniziare l’escursione proprio verso questa cima. Inoltre incontro un tizio che parla un ottimo inglese che mi dice che in quella zona si può anche volendo visitare un piccolo villaggio di contadini danu.

Parto quindi di buon’ora per il mio bel “self guided trek”, attraverso un borgo di kalaw ( dove una bambina mi sorride e mi regala un fiore ) e salgo ad una prima sella. Al primo bivio prendo il sentiero sbagliato e finisco nella casa di un contadino, che quando mi vede mi invita subito in casa e mi offre del tè verde e mi regala delle arance e altri frutti simili ad arance che però non sono arance. Sa qualche parola di inglese perché saltuariamente fa il cuoco per un’agenzia di trekking e quindi riusciamo ad abbozzare una mezza conversazione. C’è un altro contadino che è proprio del villaggio danu dove sono diretto, che però parla solo birmano e la lingua locale shan ( che è molto simile al thai ). Sta tornando a casa e si offre di accompagnarmi.

Arrivati al villaggio mi invita nella sua bella casa di legno, mi offre anche lui del tè verde e mi mostra con orgoglio le sue vecchie foto in bianco e nero di quando faceva il militare ( ora forse è in pensione ) e del matrimonio, oltre a quelle più recenti dei diplomi dei due figli. Il più grande studia all’università a Yangon, immagino sia un enorme sacrificio per un contadino birmano riuscire a garantire un’istruzione di questo livello ai figli. Dopo un po’ arriva anche la moglie, una “donnona” simpaticissima con una risata irresistibile, e anche lei mi offre del tè e dei biscotti. Li ringrazio e li saluto e mi avvio a continuare il mio mini-trek. “Che persone fantastiche che sono i birmani”, penso mentre esco dalla casa e mi rimetto gli scarponi.

E’ appena mezzogiorno, quindi decido di proseguire senza indugi verso una delle montagne che avevo adocchiato il giorno precedente. Dovrebbe essere la più alta della zona ( 1700 m? ) e in cima c’è qualcosa che non riesco ancora a vedere chiaramente, probabilmente un monastero. Salgo su una prima collina dove ci sono delle pagode bianche e osservo il bel paesaggio, tipicamente bucolico. La salita della montagna che ho scelto ora mi è chiara: c’è un’invitante stradina color arancione che si inerpica su di un fianco e quindi un sentiero lineare che sale in cima, dove ora distinguo chiaramente una pagoda dorata. Anche nelle montagne vicine ci sono delle pagode ma sono tutte bianche. Scendo di nuovo a valle verso le risaie, saluto alcuni contadini col cappello a punta ( qui in Birmania è ancora di moda ) e inizio la salita. Sono a circa 1500/1600 metri ma fa molto caldo, quasi insopportabile, e devo fermarmi più volte all’ombra a riposarmi e a riprendere fiato. L’ultimo tratto è molto ripido, è la classica scalinata che qui in Myanmar conduce alle pagode ( ma qui non c’è il tetto come nelle pagode più famose ), e quando arrivo mi distendo subito all’ombra del piccolo monastero. Inizialmente mi sembra un posto dimenticato da Dio e dagli uomini, ma dopo un po’ mi accorgo di non essere solo: dal tempio vicino alla pagoda escono alcuni monaci e un folto gruppo di donne pa-o, alcune indossano il classico abito tradizionale nero con una specie di asciugamano/turbante colorato in testa. Prendo subito la macchina fotografica e inizio a scattare alcune foto, creando un po’ di simpatico scompiglio tra le donne. Da come guardano la macchina è evidente che non hanno mai visto una digitale, ma ho il sospetto che abbiano visto anche pochi stranieri. In particolare alcune sembrano perplesse sulla mia barba. Sono di un villaggio vicino e sono venute fin quassù per una specie di “catechismo” buddista tenuto da uno dei monaci anziani. Le lascio tornare alle loro attività e mi faccio un giro della collina, dalla quale si può godere di un vastissimo panorama sulle pianure e colline circostanti.

Quando torno un giovane monaco mi chiama e mi fa capire a gesti e con qualche parola d’inglese che mi vuole offrire il pranzo. Accetto volentieri, visto che a quanto pare questi monaci sono vegetariani e mi offrono una ciotolona di sticky rice con vari curry, salse e salsine. Mi chiedono anche se voglio fermarmi per la notte ma non voglio approfittare troppo dell’ospitalità e mi avvio con animo leggero sulla via del ritorno verso Kalaw. Al villaggio Danu tre simpatiche donne mi fermano e mi invitano a bere del tè, due hanno dei bei tatuaggi sulle braccia, dei lunghi colorati e il classico cappello di paglia con nastro molto usato nello stato Shan. Il sole sta scendendo rapido all’orizzonte, ma c’e’ ancora il tempo di salire l’ultima cima del giorno, quella rocciosa con le pagode che avevo scelto il giorno prima e che mi aveva ispirato l’escursione. Il panorama è davvero splendido e mi fermo volentieri a riposarmi per una mezz’ora, prima di scendere di nuovo a Kalaw dopo più di 8 ore di cammino. E’ stata forse la più bella giornata vissuta qui nel Myanmar, in una zona quasi sconosciuta senza pagode, Buddha o laghi famosi, ma soprattutto senza grupponi di rumorosi e arroganti similtrekkers.

info utili:

pick up nyaung shwe/incrocio sulla main road: 1000k – per Kalaw 2500k posto sul tetto dopo aspra contrattazione

Golden Lily GH a Kalaw: 3 dollari

3 Replies to “Trekking a Kalaw, meglio soli che male accompagnati…”

  1. Sono capitata sul tuo sito per caso, cercando informazioni su Kalaw, e ho trovato la tua esperienza molto interessante e motivante! Andrò in Birmania ad agosto e pensavo di fare tappa a Kalaw per proseguire per il lago Inle, ma non sapevo esattamente se ne valesse la pena…ora credo di sì 🙂

    Grazie, leggerò sicuramente altro!

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